Onorevoli Colleghi! - I medici chirurghi iscrittisi a corsi di specializzazione negli anni dal 1982 al 1991, durante l'espletamento di tali attività di formazione e in dipendenza delle stesse e delle correlate prestazioni mediche, non hanno percepito alcuna remunerazione.
      Per converso, in base alle direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE (attualmente abrogate dalla direttiva 93/16/CEE, che ne ha recepito le norme, recepita dal decreto legislativo 17 aprile 1999, n. 368) era stato prescritto per tutti gli Stati membri, che le attività di formazione a tempo pieno e a tempo ridotto devono essere oggetto di «adeguata remunerazione».
      In particolare, l'articolo 16 della direttiva 82/76/CEE aveva indicato, per gli Stati membri, quale termine ultimo di attuazione delle citate direttive del 1975, il 31 dicembre 1982, in attuazione del disposto di cui agli articoli 5 e 189, terzo paragrafo, dell'originario Trattato istitutivo della Comunità europea.
      Il legislatore italiano, all'epoca, non si adeguò a tale obbligo, così che la Corte di giustizia delle Comunità europee, con sentenza 7 luglio 1987 (causa 49/86, Commissione CEE contro Repubblica italiana), dichiarò la Repubblica italiana inadempiente in relazione agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato.

 

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      Solo nel 1991, con il decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257 (poi abrogato dal citato decreto legislativo n. 368 del 1999) il legislatore nazionale, riordinando l'accesso alle scuole di specializzazione e le modalità della formazione, dava attuazione alle citate direttive. Era pertanto prevista la concessione agli specializzandi di una borsa di studio annuale di lire 21.500.000 (articolo 6, comma 1) ma esclusivamente a favore dei medici ammessi alle scuole di specializzazione a decorrere dall'anno accademico 1991-1992.
      Per la ritardata e, comunque, parzialmente omessa attuazione delle direttive richiamate, era stato avviato da alcuni medici un lungo contenzioso terminato con la pronunzia di sentenze dei tribunali amministrativi regionali, in primo grado, e del Consiglio di Stato, in appello, che evidenziavano l'illegittimità dei provvedimenti dell'amministrazione, annullandoli in quanto in contrasto con la normativa comunitaria.
      A seguito di tali giudizi, con la legge 19 ottobre 1999, n. 370, era attribuita una borsa di studio annua onnicomprensiva di lire 13.000.000 ai soli medici destinatari delle sentenze amministrative passate in giudicato forfettariamente per la durata del corso (articolo 11). Ma anche questa soluzione era rigettata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee che con la sentenza 25 febbraio 1999 (causa C-131/97) ribadiva che l'obbligo di retribuire in modo adeguato i periodi di formazione dei medici specialisti era da considerare incondizionato e sufficientemente preciso, sicché il giudice nazionale era tenuto, nell'applicazione di disposizioni nazionali precedenti o successive alle direttive, ad interpretarle, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello spirito della summenzionata sentenza.
      La Corte in particolare individuava, nell'applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della direttiva, la possibilità di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della precedente tardiva attuazione della stessa, sempre che questa fosse stata regolarmente recepita, anche al fine di assicurare un adeguato risarcimento del danno subito dagli interessati.
      Con successiva sentenza del 3 ottobre 2000 (causa C-371/97), la Corte, inoltre, precisava che l'obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione dovesse ritenersi essere incondizionato e sufficientemente preciso tanto per la formazione a tempo pieno, quanto per la formazione a tempo parziale.
      A completamento del quadro normativo testé esposto, veniva pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 250 del 23 ottobre 1999 il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, attuativo della direttiva 93/16/CE, in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli.
      Tale norma ha previsto, tra l'altro, l'inquadramento dell'attività svolta dal medico durante il periodo di formazione specialistica in uno specifico contratto di formazione-lavoro con la corresponsione di un trattamento economico annuo, onnicomprensivo (articolo 39).
      Anche in questo caso, le disposizioni valgono solamente per l'avvenire.
      Alla stregua di quanto sopra esposto appare chiaro che in base alle indicazioni della Corte di giustizia europea, interpretative delle direttive già richiamate, è riconosciuto ai medici specialisti un vero e proprio diritto alla remunerazione, principio questo, d'altro canto, corrispondente a quanto già stabilito dal nostro diritto interno, là dove l'articolo 36 della Costituzione prevede che: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».
      Sta in fatto che né lo Stato italiano, né le singole amministrazioni (centrali o periferiche) si sono ancora attivati per adempiere alle indicazioni della Corte di giustizia europea o alle direttive CEE sopra richiamate nei confronti dei medici specialisti negli anni dal 1983 al 1991. Non solo, ma non si è neppure provveduto ad adempiere in maniera puntuale e completa
 

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alle sentenze degli organi di giustizia amministrativa, che avevano annullato i provvedimenti di carattere generale in contrasto con le disposizioni richiamate; decisioni queste che, pertanto, estendevano la loro efficacia erga omnes e non solo nei confronti dei ricorrenti.
      In buona sostanza, mentre, da un lato, vi è stata la violazione e la conseguente lesione di un diritto pienamente riconosciuto, sia dalla normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia europea, sia dalla normativa interna, che prevede, come principio generale, l'adeguata retribuzione dell'attività lavorativa svolta, dall'altro lato, sussiste un'evidente violazione dei legittimi interessi degli odierni istanti a che l'amministrazione convenuta, nel suo complesso, provveda tempestivamente e correttamente, secondo le vincolanti indicazioni, sia delle norme comunitarie, sia delle sentenze dei giudici interni.
      La violazione e la conseguente lesione di un diritto pienamente riconosciuto impongono allo Stato italiano, quindi, l'obbligo morale e giuridico di attuare pienamente le direttive e di adeguarsi alle decisioni del supremo organo di giustizia comunitario, senza, peraltro, poter opporre l'intervento di presunte decadenze o prescrizioni di tali diritti.
      Infatti, da un lato, per giurisprudenza consolidata, sia comunitaria che interna, i diritti nascenti direttamente da disposizioni comunitarie sono sempre esercitabili sino a che lo Stato membro non attui correttamente e completamente tali direttive, dall'altro lato, i diritti de quibus sono sorti e sono stati pienamente riconosciuti, a partire dalle sentenze della Corte di giustizia europea del febbraio 1999 e dell'ottobre 2000.
      La presente proposta di legge è volta, quindi, a risolvere definitivamente la questione esposta, adeguandosi completamente alle indicazioni provenienti dalle direttive e dalle sentenze comunitarie e, contestualmente, ad evitare che dall'imponente contenzioso promosso dai medici interessati derivino a carico dello Stato oneri finanziari eccessivi. Si auspica, per le ragioni esposte, la rapida approvazione della presente proposta di legge.
 

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